21 settembre 2009

14 agosto 2009 - Coming back to Djougou

and waiting for the king. Tre giorni fa, quando abbiamo provato per la prima volta a incontrarlo, il re di Djougou era in viaggio. Comunque la bottiglia di sciroppo con cui i turisti sono tenuti a omaggiarlo lo attende pronta.
Aspettiamo pure Roland che si è recato appunto a vedere se il re sia disposto a riceverci. Ibe, visto che è venerdì, è andato a pregare. Seduta sul divano della nonna di Roland, mamma di Justine, suocera di Christian, mi domando oziosamente perché mai nei paesi caldi ricoprano sempre divani e poltrone di lane, velluti o sintetici che sprigionano calore al solo guardarli. Non è la prima volta che me lo chiedo ma mi dico che in Benin il cotone si produce, le pezze di stoffa si vendono ovunque, perciò l’usanza mi sembra ancora più bizzarra.
Il re, manco a dirlo, continua a essere latitante, ergo ne faremo a meno: lo sciroppo acquistato per lui resterà qui, speriamo sia apprezzato anche da individui non regali. Partiamo così alla volta di Barhein, villaggio natale di Christian e Thérèse. La mamma di Christian parla un ottimo francese e la famiglia sta decisamente bene: bella casa, pollaio, due manghi e donne che preparano le arachidi caramellate (o, meglio, una sorta di croccante di arachidi). Viceversa il papà di Thérèse e la sua famiglia non sembrano passarsela al meglio. Il fratello è bello, ben vestito, pulito, altri un po’ meno. L’ospitalità è comunque squisita e tutti ci stringono le mani. Una donna ci chiede soldi in cambio dei pochi chicchi di mais che ci mostra nella cesta; è vagamente aggressiva, ma siamo bianchi ed è nell’ordine naturale delle cose. Il padre di Thérèse è compitissimo e ci spiega che tutta la confusione che ci circonda è dovuta al fatto che c’è appena stato un lutto in famiglia. Sono musulmani e c’è un signore che passa tra loro declamando qualcosa in un minimegafono. La nuova moglie del padre di Thérèse (la mamma è morta molti anni fa), che, come il vecchio signore, non parla francese, mi fa capire che trova i miei orecchini e i miei braccialetti molto belli e sono certa che sia un complimento. Poi, mentre ce ne stiamo andando, un’altra signora indica i miei braccialetti e mi fa intendere che sono una bastarda e che butto il mio denaro in stronzate. Magari sono vere entrambe le opinioni. Risalita sull’auto osservo i lati della strada dal finestrino e, sì, mi sento una ricca stronza e nient’altro.
Per fortuna si prosegue e le mie paturnie vengono accanto- nate. A Tiranda andiamo in visita da Baba nonsonriuscitaamemorizzareilnome. È un guaritore: cura gli arti, le fratture e similia, mestiere che si tramanda di padre in figlio (il vecchio padre cieco è seduto poco distante da noi nella corte familiare; accanto a lui un altrettanto venerabile zio). Nel cortile ci sono il guaritore, il suo assistente, il suo consigliere, i malati, un mucchio di bambini e curiosi vari. Ci scambiamo complicati e deferenti saluti, ci presentiamo (Carlo e io), facciamo domande, riceviamo auguri, auspici e richieste. Alla fine omaggiamo il guaritore con una banconota e gli lasciamo il nostro indirizzo (a proposito, devo inviar loro le foto). Tutti si proclamano felici e contenti. E vissero.



(nelle foto: où va le monde?; il guaritore (quel signore che accarezza il cane) e la sua corte)

Nessun commento:

Licence Creative Commons
Ce(tte) œuvre est mise à disposition selon les termes de la Licence Creative Commons Attribution - Pas d’Utilisation Commerciale - Pas de Modification 3.0 non transposé. Paperblog