08 novembre 2007

Parigi, 25 gennaio 2006

Un signore che neppure conosco, Andrea Pergola, si è inventato i Blog for Nepal e mi invita a scrivere qualcosa, visto che sono tornata da Katmandu appena una decina di giorni fa. Provo a raccogliere. Per ora qualche idea in ordine molto sparso.

La prima cosa che mi viene in mente è che, nel 2000, tutte le persone con cui ho avuto modo di parlare della guerriglia, si sono dichiarate maoiste o comunque vicine ai maoisti. Compreso un poliziotto. Cinque anni dopo, la scorsa estate, cioè, non trovo affatto una simile unanimità. Per una persona che si è illuminata di un enorme sorriso nel sentirmi citare alcune regioni nepalesi e che ha commentato “Good maoists”, ne ho trovate decine che non avevano alcuna voglia di parlare e una che mi ha tenuto un comizio che potrei definire filonazista (e che detestava, o piuttosto detesta, tanto il re quanto i maoisti). Invece, ho conosciuto un ragazzo, un guardiano, che, in un attentato a un pullman in cui sono morte 88 persone, ha perso la moglie e il figlio neonato. L’ho rivisto a gennaio e mi ha presentato la nuova moglie.
Quest’estate ho assistito anche a qualche manifestazione, di militanti per i diritti umani, per lo più, a partecipazione piuttosto scarsa, tanto che i poliziotti presenti mi sono sembrati altrettanto se non più numerosi dei dimostranti. Niente di sorprendente: si vive sotto dittatura e quasi a ogni dimostrazione c’è qualche ferito, o, almeno, è quanto ho letto sull’”Himalayan Times”, quotidiano abbastanza filogovernativo.
Come ho scritto qualche post fa, comunque, anche se vuoi far finta di niente, non puoi non vedere i poliziotti in giro, o i posti di blocco la sera, lungo gli assi principali della città. Vero è che la maggior parte dei turisti quando è a Katmandu, resta per lo più a Thamel, il centro, dove ci sono ristoranti e locali, e che a Thamel anche di poliziotti se ne vedono meno.
I nepalesi, intanto, vanno a lavorare altrove. Un nostro amico nepali vive ormai negli Usa, dove sta cercando di far arrivare anche il resto della famiglia, un altro lavora per un americano in città, tanti vanno in India (con l’India c’è una frontiera aperta, una specie di Schengen subhimalayana) o in Qatar. Un commerciante indiano che ha trovato l’America a Katmandu, ci spiega che la prima fonte di reddito del Nepal sono i soldi inviati dagli emigrati che lavorano altrove. Non ho modo di controllare l’informazione ma sembra verosimile a tutti gli indigeni e a tutti i residenti cui la riporto. Viceversa, l’unica risposta a una microindagine sulle condizioni di vita del proletariato nepalese arriva da un taxista che parla piuttosto bene l’inglese: il fisso del taxista è bassissimo, 2000 rupie al mese (1 € allora valeva tra le 80 e le 83 rupie, oggi, al cambio ufficiale, siamo attorno alle 87) e con le percentuali (tipo bonus e mance) raggiunge al massimo le 4-5 mila rupie. Lavora cinque giorni la settimana, ma la sua giornata comincia alle 6 del mattino e termina alle 8 di sera: un bel 14 ore tonde tonde. E sta a Katmandu, dunque fa parte della crema della popolazione. Nelle regioni più povere di uno dei Paesi più poveri del mondo, più che vivere si sopravvive. Male.


(nella foto: il vero re del Nepal, sua maestà l'Everest)

1 commento:

Gianluca ha detto...

la magia del posto sembra svanire sotto tanta desolazione. e a farle stare insieme nello stesso pensiero, magia e desolazione intendo, si apre una nuova magia più grande. che non cancella lo strazio per una condizione così miserevole.

Licence Creative Commons
Ce(tte) œuvre est mise à disposition selon les termes de la Licence Creative Commons Attribution - Pas d’Utilisation Commerciale - Pas de Modification 3.0 non transposé. Paperblog